Oggi viene spacciata per innovativa un’architettura che è ancora pienamente novecentesca e industrialista, che malgrado il suo travestimento “green” continua a propagandare e avallare stili di vita e abitudini profondamente insostenibili. La gran parte dei progettisti continua a progettare come quando si pensava che le risorse fossero inesauribili, illudendosi che basti cambiare le tecnologie impiantistiche o aggiungere qualche alberello o un po’ di isolamento (di solito di origine fossile, come l’orrendo polistirene, il cappotto!) .

Ma non esiste un modo sostenibile di produrre tutta la quantità di energia che l’uomo occidentale si è abituato a consumare col suo attuale stile di vita.

Bisogna pensare a delle architetture che per come sono costruite, conformate e disposte, per prima cosa riducano al minimo le necessità energetiche e le dotazioni impiantistiche. Le miriadi di architetture popolari costruite nei secoli alle latitudini più diverse erano per necessità in primo luogo realizzate in funzione del clima e delle risorse disponibili. La modernità ha sostituito questa moltitudine di culture costruttive con un’unica architettura standard fatta per un unico modo di vivere standard fondato sul consumo. Ora il novecento è finito da un pezzo, ma noi continuiamo a costruire con questi ferri vecchi moderni: l’abuso di cemento, vetro, acciaio, l’infinità di prodotti sintetici che monopolizza l’architettura attuale, e un’idea di comfort che è semplicemente obsoleta. Credo che la possibilità di fare oggi un’architettura decente non possa evitare di rimettere radicalmente in discussione questa eredità “moderna”.” Giacomo Borella

La mia idea di dimora è una casa che ti faccia sentire più te stesso, che faccia sentire di più. Una casa che non ti omologhi, non realizzata secondo schemi precostituiti.

Che impedisca la standardizzazione dei comportamenti, l’organizzazione pseudo-razionale delle funzioni, che non esprima la limitatezza del rapporto forma funzione di stampo modernista, del funzionalismo, l’esaltazione assoluta della tecnologia conseguenza della scientifizzazione di ogni aspetto della vita contemporanea.

Che non esprima un’estetica standardizzata ostaggio del mercato, dei cataloghi perennemente da rinnovare, delle tendenze da seguire, che attecchisce facilmente in un’epoca di crisi culturale.

Che non sia uno spazio mai scelto personalmente, intimamente dagli utenti, dagli abitanti, ma scelto dal mercato, dalla cultura di massa.

Che non esprima un’ecologia superficiale e apparente, esclusivamente a servizio delle nuove tecnologie impiantistiche intese esclusivamente come prodotto e non come frutto dell’ingegno umano.

Credo che uno spazio costruito ci debba far riprendere il contatto con gli elementi in una consapevolezza di essere corpo oltre che anima.

L’uomo oggi ha una sorta di vergogna per la sua condizione fisica, di terrestre, che “sente” fin troppo la sua fisicità; i propri limiti, la propria finitezza ed è sempre più vulnerabile, debole e sofferente di fronte agli elementi»

Affinché il benessere sia reale e profondo, il corpo deve recuperare l’ancestrale contatto con la natura e con i suoi elementi, deve lasciarsi pervadere dalle sue forze e percepirne l’armonia.

Dimora come Templum e Cum-templum.

Una dimora che respiri e faccia respirare, che sia una soglia, che sia un confine permeabile agli elementi – luce sole, aria, acqua- che inneschi relazioni plurime al suo interno e nei confronti dell’esterno, della comunità.

Apertura come incoraggiamento alla vicinanza, alla compattezza e alla creazione di una Comunità.